Appena uscito per Aida Music il nuovo album del cantautore, pittore e poeta vicentino Federico Marchioro, un album intenso del quale approfondiamo alcuni aspetti in questa intervista.

Sotto quale spinte nasce questo nuovo album?

Il mio nuovo lavoro discografico nasce dalla voglia di raccontare la realtà politica e sociale che mi sta intorno, i fatti che accadono, non tanto da un punto di vista cronachistico, compito questo di un giornalista; In “Amore e guerra a Berlino” ho cercato di capire ed analizzare, dare una mia interpretazione, circa il dibattito culturale e filosofico che sta alla base la nostra più attuale contemporaneità.

Qual è il titolo dell’album e come è nato?

“Amore e guerra a Berlino”, prende ispirazione da un viaggio che feci alcuni fa a Berlino, da cui rimasi colpito ed affascinato; metropoli che porta su di sé le tracce del secolo Novecento e, contemporaneamente, una delle capitali della nuova globalizzazione, porta d’ingresso del nuovo millennio. Cercavo poi un titolo dal sapore “epico”, direi “hollywoodiano”, capace di descrivere il senso di precarietà, di eterna lotta tra bene e male, insito nella nostra esistenza. La stessa copertina ricorda “Via col vento”, un grande classico di quella gloriosa stagione cinematografica.

Cosa ti aspetti dal futuro?

Sento molta paura intorno a me, quella che stiamo vivendo oggi è una fase storica dalle mille incognite. Parole come “guerra”, “bombardamenti”, “coprifuoco”, “razionamento”, che sembravano ormai relegate alle pagine più buie del secolo scorso, sono drammaticamente tornate di uso comune. Non è più tempo di tracciare progetti e visioni di ampio respiro. Cerco soprattutto di vivere giorno per giorno, trovando gioia nelle persone più vicine a me e nella mia arte che porto avanti.

Cosa significa per te uscire con un nuovo album?

La pubblicazione di “Amore e guerra a Berlino”, il fatto in sé di darlo alle stampe, è fonte di grande gioia, direi quasi un momento di liberazione catartica. È stato un disco molto sofferto, non tanto per il concepimento e la scrittura delle canzoni che lo compongono, bensì per la sua concreta fase di registrazione. Un album che avrebbe dovuto vedere la luce due anni fa, ma la tragedia del Covid, con tutto quello che ha comportato, ne ha rallentato e ritardato, in modo significativo, la sua pubblicazione, finalmente avvenuta.

Sono passati alcuni anni dal tuo ultimo disco cosa è maturato in te?

Da un punto di vista prettamente creativo, non molto; il mio approccio nello scrivere una canzone è rimasto sostanzialmente lo stesso rispetto al disco precedente, “Appunti d’inizio secolo.” È sicuramente cambiato il mio rapporto con tutto quello che sta intorno all’uscita di un disco. In questi anni ho acquisito una maggiore dimestichezza e capacità nell’utilizzo di quei mezzi che permettono la diffusione e la promozione  del mio percorso artistico, per esempio l’uso dei “social”, fondamentale, al giorno d’oggi, per un’artista.

C’è un filo rosso che lega le canzoni di questo lavoro?

Lo scontro, la contrapposizione in atto, tra sovranismo e globalizzazione. Uscito di scena il comunismo e le grandi ideologie di massa del secolo Novecento, l’avvento di questo nuovo millennio è segnato dal conflitto tra queste due correnti di pensiero, dottrine politiche.

Come hai messo insieme la Track List?

La musicalità delle canzoni, il piacere, il divertimento provato, nel riascoltare i pezzi dopo averli registrati. Un pezzo deciso, un bel rock come “E’ la globalizzazione bellezza!”, si presta perfettamente “ad “aprire i giochi”, “alzare il sipario”, mentre “La canzone del grande fuoco”, chiusura del disco, per la sua freschezza e giocosità, è un affettuoso saluto, é stringere la mano a qualcuno, augurargli, al cader della giornata, una buona strada per i giorni che verranno.

C’è continuità rispetto ai tuoi lavori precedenti?

Sì, una continuità data dal mio grande amore per la storia. Tutti gli album che ho pubblicato, “Appunti d’inizio secolo”, “Canzoni popolari” e “Amore e guerra a Berlino”, sono legati l’uno con l’altro da questo interesse e passione per la storia contemporanea che ho sempre coltivato fin da ragazzo. La memoria di quello che è stato è un patrimonio, un bene, un valore da difendere e conservare per la sopravvivenza di una società civile, di una comunità democratica.

Come nascono in genere i testi delle tue canzoni?

Tutto nasce dall’istinto e dalla casualità. Musica e testo vengono di pari passo, senza un ordine prestabilito, senza dei codici e regole già decise in partenza. All’inizio butti giù, su di un foglietto di carta alcune frasi e spunti creativi, così come un giro di accordi che ti piace e che trovi interessante. Poi, successivamente, una seconda fase che io chiamo di“sartoria”, in cui tagli, aggiungi, scomponi e ricomponi, metti una strofa oppure un ritornello che poi, magari, il giorno dopo non ti piace più e quindi lo levi. Una fase questa, molto laboriosa e, a volte, snervante.  La canzone, alla fine, è come un abito da confezionare e tutto dev’essere perfetto, dall’inizio alla fine, non ci devono essere punti deboli e sbavature. Alla fine, però, quando la canzone è fatta e senti di aver detto tutto, la gioia e la soddisfazione sono immense. Quando insomma, l’opera è completata.

C’è una canzone dell’album a cui sei più affezionato?

“È la globalizzazione bellezza!”, la riascolto più volte per la sua forza, il suo sound. Mi piace sentire il basso e la batteria che picchiano decisi al ritmo di rock and roll. Pur mascherato da una buona dose di sarcasmo e cinismo, c’è molto dolore in questa canzone. Ritengo sia il testo più bello che ho scritto, assieme a “Beati i puri di cuore”, brano dedicato a mio padre, contenuto nel disco precedente “Appunti d’inizio secolo.”

Cosa vuol dire fare musica in un momento così particolare per il nostro pianeta?

Credo che in un momento così difficile, fatto di luci ed ombre, chiunque fa musica e si occupa di arte, è da considerare come un eroe buono e gentile, che, in una sua costante ricerca della bellezza, ha scelto di uscire dalle regole e dalle convenzioni imposte dalla società, spesso pagando in prima persona questo suo essere “controcorrente”, “in direzione ostinata e contraria”, citando Fabrizio De André. Può apparire scontato dirlo, affermare un luogo comune, ma è la bellezza che salverà il mondo.

La musica deve assolvere ad un compito?

Raccontare storie e con queste storie fornire una voce in più al dibattito culturale che può far crescere questo nostro paese. La musica, al pari di un libro, di un film, può e deve raccontare la realtà, comunicare emozioni, sensazioni, sentimenti, indurre ragionamenti e riflessioni. Portare per esempio, all’attenzione di tutti, una problematica come quella ambientale, così drammaticamente attuale in questo momento.

Amore e guerra a Berlino è prodotto da Stefano Florio per etichetta AIDA MUSIC

Questa è la tracklist completa dell’album:

1.  È  la globalizzazione bellezza!

2. Che Guevara sta suonando l’armonica

3. I professionisti della pace

4. L’abbigliamento di un fuochista

5. Kurfurtenstraße

6. La canzone del grande fuoco

 

Link Album: https://fanlink.to/AmoreeGuerraaBerlino

Link Videoclip (È globalizzazione bellezza!):  https://youtu.be/CdOvAeH1R1c